
Roma, RM, Italia
Date: 19/03/2016 Author: Sara
Tutte le strade portano a Roma. Il tram 19 da piazza Risorgimento percorre l’intero centro e porta fino a un’altra Roma. Quella che non si trova sulle cartoline, quella delle periferie e delle borgate, per intenderci. Nella seconda definizione del vocabolario Treccani Borgata è un “aggruppamento organico di edifici d’abitazione in una località suburbana ma senza stretto rapporto di continuità, almeno in origine, con gli stessi quartieri periferici della città di cui pure fa amministrativamente parte”. Il termine compare per la prima volta nel 1924, “quando il fascismo trasferisce gli abitanti del Foro di Cesare e di Traiano e della via del Mare ad Acilia”. Da allora la periferia classica e le borgate sono state concepite e mantenute ben lontane dal centro, fisicamente e idealmente separate dalle macerie di un’Impero che nell'immaginario nazionalista e fascista doveva rigenerarsi quale Nuova Roma, moderna, risanata e continuatrice delle glorie di Cesare e Augusto. Storia vuole che le macerie si sono moltiplicate e le conquiste non si sono mai ripetute, ma nell'impetuoso ottimismo del ventennio si decise che per risanare Roma era necessario ricorrere ad un’opera di pulizia edilizia e umana che doveva liberare il centro dai detriti sociali e bandirli altrove attraverso un semplice ma efficace meccanismo socio-selettivo: chi poteva rimaneva dove stava, chi no si ritrovava confinato nelle popolarissime borgate costruite per l’occorrenza. Ad avere la peggio, secondo il questore mussoliniano tale Giuseppe Cocchia, sarebbe stato quell'ammasso “di pregiudicati, di disoccupati, di oziosi e di vagabondi, e non è da escludersi di sovversivi e antifascisti allontanatisi dai paesi di origine o di dimora per sfuggire alla sorveglianza della Polizia”. Parole del secolo scorso eppure così vicine alle manovre di rincoglionimento di massa contemporanee. Ed in effetti, ancora oggi la politica della ramazza continua indisturbata, quand'anche camuffata sotto il nome di “politica del decoro”. Si mette in sicurezza la staticità imbalsamata del centro, si promuovono nuove frammentazioni territoriali, si costruiscono altre zone grigie dove l’urbanizzazione liquida, senza criteri, risponde alle esigenze della speculazione edilizia. Ma solo a quelle. L’umano è abbandonato. Qui si condensano i nuovi nemici della città: i vecchi proletari, i nuovi migranti, gli ultimi precari, tutti impegnati ad incazzarsi fra loro e ad aspettare che qualcosa succeda. “Non vi fidate di quelli che hanno deciso che il Pigneto è Tribeca e che a Roma ci sono le mille luci di New York” ammonisce Giuliano Santoro nel suo ultimo libro Al Palo della Morte. “Siamo nell'era della crisi non nei rampanti anni Ottanta. Questo è il precariato, non il terziario avanzato di Craxi. Chi si accomoda sui luoghi comuni non capisce quanto i posti sedimentino storie, quanto queste strade siano ancora ruvide e quanto le asprezze del passato si accostino alle durezze a noi contemporanee”. Tutte le strade portano a Roma. Certi posti di Roma non sono nemmeno più polvere, altri invece somigliano a prigioni col “soffitto di cristallo” dove sperimentare nuove pratiche di smantellamento sociale. Tutte le strade portano a Roma, ma per conoscere Roma bisogna forse compiere un movimento centripeto che parta dalla periferia, tipo dalla fermata Gerani del tram 19. O da un qualunque altro “Palo della Morte”.